Dal male al bene. Il caso di Jaime e quel «di più» che cambia tutto
da Avvenire
Le conoscenze che si sono ampliate però, non sono solo quelle della biologia e della medicina. Abbiamo anche scoperto di avere esistenzialmente uno sguardo “religioso” e, poiché la fine di tutto ciò non sarà rapida, abbiamo l’occasione, approfondendolo, di liberarci da quella cappa resistentissima con la quale prima, quasi senza volerlo, ci immunizzavamo così facilmente dalle grandi domande. Il senso religioso è il nerbo della nostra vita, ce lo ritroviamo in ogni gesto anche minimo della giornata. Non è solo quello che sta dietro l’accoglienza degli immigrati o la riapertura delle Messe, ma è quello che anima l’altruismo, il sacrificio, l’impegno, di medici e infermieri, di tutti quelli che si impegnano per combattere la pandemia.
Ciascuno di noi, come accade ai reduci di guerra, può raccontare storie drammatiche e bellissime, di dolore e di vita. Come quella che lega tante persone a Jaime Mba Obono, cittadino palermitano nato in Guinea equatoriale. Si era recato in Africa a gennaio per trovare la famiglia di origine e, ammalatosi di coronavirus, si è ritrovato intubato in gravissime condizioni all’ospedale di Malabo, non attrezzato per curare quell’emergenza pur essendo quello della capitale.
Chiara, la moglie di Jaime, non si è rassegnata ed è nata una cordata meravigliosa di semplici cittadini e di autorità dello Stato: gli uni hanno raccolto più di 100mila euro, i secondi – e cioè il Ministero degli Esteri insieme al ministero della Difesa – hanno organizzato un volo militare per riportare in Italia il nostro connazionale, che, nel momento in cui scrivo, versa in condizioni critiche non avendo le medicine necessarie per essere curato. Una vicenda come questa – a prescindere dalla conclusione che speriamo positiva – mostra come scienza medica, ricerca, organizzazione, siano necessarie, ma non siano sufficienti.
Cure e vaccini servono e non bastano: è il di più del personale sanitario, è il sacrificio di chi assiste i malati, di chi si occupa della logistica, di chi sa servire il prossimo a costo della propria vita, ciò che, in Italia e in tutto il mondo, contrasta la pandemia. È l’altruismo di chi si coinvolge in vicende che sapevamo esistere come lontane e che invece, ora, ci toccano da vicino perché ci riguardano. Le decine di persone che si sono implicate in prima persona, come privati cittadini o come pubblici ufficiali, in una vicenda come quella di Jaime Mba Obono, lo hanno fatto perché la scienza e la fede, l’umano e il divino, il senso religioso e il più schietto senso antropologico si sono incontrati e si sono dati la mano.
Questa è la miglior risposta alla domanda se Dio c’entra o meno con il coronavirus, sul perché permetta il male o addirittura se “crea Lui” la pandemia. Se Gesù avesse fatto il prodigio di scendere dalla Croce, come gli chiedevano alcuni, avrebbe fatto fatto un miracolo in più, ma l’essere umano sarebbe rimasto solo, con il suo dolore e con la sua morte. Restando sulla croce, Gesù non spiega nulla, ma accompagna, soffre insieme all’uomo. Le infinite catene di solidarietà che abbiamo scoperto in questi giorni e che ci sforziamo di raccontare e documentare, raccontano sempre, in mille modi diversi, la storia di Cristo. Quella storia per cui solo passando attraverso il male, lo si può trasformare in bene. Si capisce così che il male non è un prezzo da pagare ma spesso, ciò che noi chiamiamo male, è solo un cammino che porta al bene dell’uomo che si stringe all’uomo, dell’uomo che, unendosi a Cristo, può trasformare il male in bene.