Se manca la carnalità dell’incontro
dall’Osservatore Romano
Ieri sera ho salutato mio padre e mia madre grazie a una videochiamata. Abitano a poche centinaia di metri da casa mia. Non avrei mai pensato di dover utilizzare la tecnologia per fare la cosa più naturale del mondo, quella che di solito si fa di persona, in carne e ossa. Un saluto, uno sguardo reciproco d’affetto.
Il saluto c’è stato, ma non quella soddisfazione inconsapevole con cui di solito uscivo da casa dei miei genitori. Soltanto ora me ne posso rendere conto. La soddisfazione che nasce dal contatto, dalla carnalità meravigliosa dell’amore, dall’abbraccio del sangue.
Non sono tanto le parole che mancano in queste ore, ma i corpi, le carezze, i baci. Soprattutto quelli dei nostri genitori, la categoria più a rischio in questo momento. Le parole resistono, come i discorsi, le teorie, ma di quelle non sappiamo che farcene se viene a mancare, come in questo momento, la presenza tangibile che le vivifichi.
Senza presenza l’uomo si parla addosso, rischia di scadere nei convenevoli, nella banalità. Un abbraccio è un abbraccio, dice senza dire, ci svela la tenerezza di chi abbiamo di fronte nello stesso momento in cui ci ricorda la nostra. L’abbraccio di un padre e una madre.
Qualche giorno fa, sul «Corriere della Sera», don Julian Carrón portava come esempio proprio la figura materna quale antidoto alla paura. È alla madre che il bambino corre per superare, vincere la sua paura. Una presenza, appunto. Un completamento nell’altro, in chi accresce con la sua accoglienza le nostre capacità, e sicurezze. Un metodo, come giustamente don Carrón fa notare, valido sempre, che mostra come sia l’incontro con chi testimonia e vivifica la presenza di Dio l’unico metodo che abbiamo per sconfiggere realmente le paure di questo momento, le paure di sempre.
Quest’obbligo alla distanza tra gli uni e gli altri può essere utile a farci ragionare proprio su questo tema. La carnalità della presenza. La carnalità dell’amore quale strumento di rivelazione. Ma, ancora più profondamente, quello che stiamo vivendo ci deve far domandare se la nostra vita sia veramente aperta a incontrare e ad accogliere la Presenza e la grandezza. Non una teoria del vivere, non una dottrina vuota di corpo e sangue. Ma l’avvenimento di un incontro che sconfigga le nostre paure, di eterni bambini che cercano completamento.
Qualcosa di supremo e semplice, come l’abbraccio di un padre e di una madre, perché solo così può essere, perché solo così possiamo avverare nelle nostre vite quel sentimento di speranza più forte di tutto. Più forte della morte. Della malattia. Più forte di questi giorni di distanza obbligata che ci scoprono più nudi e soli. La presenza carnale dell’incontro, perché è su questo che poggia l’intero universo.
di Daniele Mencarelli