Fede e pandemia. Halík: le chiese vuote sono un segno che è tempo di prendere il largo
da Avvenire
Nei momenti di calamità gli “agenti dormienti” di un Dio malvagio e vendicativo diffondono la paura e ne fanno un capitale religioso per i propri fini. La loro visione di Dio è acqua per il mulino dell’ateismo da secoli. Ma non vedo Dio, in un momento di calamità, come un regista irascibile, comodamente seduto dietro le quinte mentre gli eventi del nostro mondo precipitano, bensì come una fonte di forza operante in coloro che in tali situazioni danno prova di solidarietà e di un amore capace di sacrificio, compresi coloro, ebbene sì, le cui azioni non hanno una “motivazione religiosa”.
Dio è amore umile e discreto. Non possiamo però fare a meno di chiederci se questo tempo di chiese vuote e chiuse non rappresenti una sorta di monito per ciò che potrebbe accadere in un futuro non molto lontano: fra pochi anni esse potrebbero apparire così in gran parte del nostro mondo. Non ne siamo già stati avvertiti più e più volte da quanto è avvenuto in molti Paesi, dove sempre più chiese, e il loro possibile futuro se non si compie un serio tentativo per mostrare al mondo un volto del cristianesimo completamente diverso. Abbiamo pensato troppo a convertire il “mondo” e meno a convertire noi stessi, che non significa un mero “migliorarci”, ma un radicale passaggio da uno statico “essere cristiani” a un dinamico “divenire cristiani”.
La Chiesa medievale fece un eccessivo uso punitivo dell’interdetto, portando l’intera macchina ecclesiastica a una sorta di “sciopero generale” per cui non si tenevano funzioni e non si amministravano sacramenti. Come conseguenza, la gente iniziò a cercare sempre di più un rapporto personale con Dio, una fede “nuda”. Proliferarono confraternite laiche e si manifestò un’ondata di misticismo la quale contribuì senza dubbio a spianare la strada, da una parte, alla Riforma, non solo di Lutero e Calvino, ma, dall’altra, anche alla riforma cattolica legata ai gesuiti e all’espressione del misticismo spagnolo. Magari la scoperta della contemplazione potrebbe oggi contribuire al “percorso sinodale” verso un nuovo Concilio riformatore […]
Agli inizi della sua storia, la Chiesa primitiva degli ebrei e dei pagani conobbe la distruzione del tempio in cui Gesù pregava e insegnava ai suoi discepoli. Gli ebrei di quei tempi trovarono una soluzione coraggiosa e creativa: sostituirono l’altare del tempio demolito con la tavola familiare, e la pratica del sacrificio con quella della preghiera privata e collettiva. Agli olocausti e ai sacrifici di sangue sostituirono il “sacrificio delle labbra”: la riflessione, la lode e lo studio della Scrittura. Più o meno nello stesso periodo il primo cristianesimo, bandito dalla sinagoga, cercò una nuova, sua propria, identità.
Sulle rovine delle tradizioni, ebrei e cristiani impararono a leggere daccapo la Legge e i profeti, e diedero loro nuove interpretazioni. Non è una situazione simile a quella dei nostri giorni? Quando all’inizio del V secolo Roma cadde, ci fu chi trovò subito la spiegazione: per i pagani si trattava una punizione degli dei per l’adozione del cristianesimo, per i cristiani una punizione di Dio a Roma per avere continuato a essere la «prostituta di Babilonia». Sant’Agostino rifiutò entrambe le interpretazioni e, in quel momento spartiacque, sviluppò la sua teologia della battaglia epocale fra due «città» contrapposte; non di cristiani e pagani, ma di due «amori » che risiedono nel cuore umano: l’amore di sé, chiuso alla trascendenza (amor sui usque ad contemptum Dei), e l’amore che fa dono di sé e così trova Dio (amor Dei usque ad contemptum sui). Questo nostro tempo di cambiamento a livello di civiltà non chiede forse una nuova teologia della storia contemporanea e una nuova visione della Chiesa?
«Sappiamo dove la Chiesa è, ma non sappiamo dove non è», insegnava il teologo ortodosso Pavel Nikolaevic Evdokimov. Forse quello che l’ultimo Concilio ha detto sulla cattolicità e l’ecumenismo ha bisogno ora di acquisire un contenuto più profondo. È giunto il tempo per un ecumenismo più ampio, per una più audace ricerca di Dio «in tutte le cose». Possiamo naturalmente accettare questa Quaresima di chiese vuote e silenziose semplicemente come una breve misura temporanea che sarà presto dimenticata. Ma possiamo anche sfruttarla come kairós: un momento opportuno per «prendere il largo » e cercare una nuova identità per il cristianesimo in un mondo che cambia radicalmente sotto i nostri occhi.
L’attuale pandemia non è certamente l’unica minaccia globale per il nostro mondo, ora e in futuro. Facciamo dell’avvicinarsi della Pasqua una sfida a cercare nuovamente Cristo. Non cerchiamo il Vivente fra i morti. Mettiamo coraggio e tenacia nel cercarlo, e non lasciamoci prendere alla sprovvista se ci appare come uno straniero. Lo riconosceremo dalle sue ferite, dalla sua voce quando ci parlerà intimamente, dallo Spirito che porta la pace e bandisce la paura